Articolo pubblicato su Alto Adige Innovazione mercoledì 11 ottobre 2017. 

«Un tempo in Italia i finanziamenti per le organizzazioni culturali arrivavano dagli enti pubblici ma a partire dalla metà degli anni 2000 la situazione è drasticamente cambiata — spiega Marianna Martinoni, esperta di raccolta fondi e docente alla Fundraising School di Forlì—. Il ruolo dello Stato si è indebolito e i fondi pubblici sono diminuiti. Di conseguenza le attività di fundraising sono diventate sempre più importanti per le istituzioni culturali». Martinoni guiderà uno dei due workshop sul tema del fundraising in ambito culturale proposti dalla 5° edizione di WS explora, il ciclo di workshop sull’innovazione culturale dedicato agli operatori culturali e creativi dell’Alto Adige e del Trentino. Sviluppato all’interno del progetto Weigh Station, piattaforma per il sostegno ai giovani creativi e allo sviluppo culturale del territorio, in collaborazione con The FundRaising School, la prima scuola italiana dedicata unicamente alla raccolta fondi con sede a Forlì, l’evento avrà luogo il 13 e 14 ottobre 2017 al Centro Trevi di Bolzano.

 

«Bisogna far capire l’importanza del proprio progetto»

«Di fronte a questo cambiamento radicale, tutti i settori della cultura e dello spettacolo si trovano oggi costretti a ideare nuove politiche di sostenibilità, a ridurre la tradizionale dipendenza da un unico finanziatore (quello pubblico, sempre più indisponibile) e coinvolgere nuovi potenziali donatori, pubblici e privati, al fine di generare un flusso costante di risorse» spiega Martinoni che lavora nel fundraising in ambito culturale da ben 15 anni e che perciò ha potuto assistere al cambiamento del panorama della raccolta fondi in Italia in prima persona. Ma come le organizzazioni culturali possono coinvolgere nuovi sostenitori? «La possibilità di fare fundraising per un’organizzazione culturale è direttamente proporzionale alla capacità di far comprendere ai propri pubblici qual è il vero motivo per cui si chiede a cittadini e imprese di contribuire attraverso un sostegno economico — continua l’esperta di raccolta fondi che nel 2015 ha fondato la società di consulenza fundraising «Terzofilo» con sede a Padova —. Le organizzazioni devono spiegare ai potenziali sostenitori l’importanza del proprio progetto. E per essere in grado di far ciò bisogna innanzitutto trovare risposta ad alcune domande fondamentali: quale sarebbe l’impatto sulla comunità se il nostro museo/teatro/biblioteca domani chiudesse? Chi ne sentirebbe la mancanza?». «E poi ci vuole anche la volontà di aprirsi all’esterno, raccontando in modo coinvolgente — anche attraverso le tecniche dello Storytelling — le proprie attività e il proprio progetto» sottolinea la docente.

Fundraising, così è cambiato il panorama in Italia

Ma gli strumenti della raccolta fondi non sono rimasti sempre gli stessi. Anche le attività di fundraising sono in costante evoluzione. Un buon esempio per come è cambiato il panorama è il crowdfunding (in italiano «finanziamento collettivo»), il processo collaborativo di finanziamento di progetti o organizzazioni da parte di un gruppo di persone che anche in Italia è sempre più diffuso. «Un tempo i sostenitori di organizzazioni culturali erano singoli donatori benestanti — spiega Martinoni —. Oggi sempre di più i progetti culturali vengono finanziati da una rete di stakeholder — spesso questa categoria di sostenitori è giovane e dona online — che sostengono le organizzazioni con piccoli contributi, una modalità di raccolta fondi che non di rado risulta più efficace. Ma anche strumenti come Art Bonus, incentivo fiscale che consente una detrazione, fino al 65% per chi effettua donazioni a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano, hanno fatto sì che sempre più cittadini iniziassero a donare».