Al Festival del Fundraising 2025 si è parlato di come l’IA possa migliorare la relazione con i donatori, segmentare meglio i pubblici, automatizzare i processi. È stato chiaro a tutti: l’intelligenza artificiale non è una bacchetta magica, ma uno strumento potente, a patto che ci siano dati ben gestiti, competenze ibride e una visione strategica.

Di ritorno da Riccione, il 12 giugno abbiamo partecipato al convegno Alea IActa est. Cultura e digitale, non si torna indietro, promosso dall’Osservatorio Innovazione Digitale per la Cultura del Politecnico di Milano. Tema centrale: l’adozione dell’IA nei musei e nei teatri. Il confronto tra i due eventi – pur in contesti diversi – ha rivelato una sfida comune, che tocca tutto il settore culturale: mettere l’innovazione al servizio della relazione, dell’esperienza e della sostenibilità anche delle organizzazioni che operano nel settore culturale.

I numeri parlano chiaro

Nel 2024 i musei italiani hanno registrato un +6% di visitatori e i teatri un +9% di spettatori, con una crescita proporzionale anche degli incassi. I dati ufficiali del Ministero della Cultura indicano che sono stati più di 57 milioni gli ingressi nei soli musei statali, il valore più alto degli ultimi 10 anni. La domanda culturale c’è, è viva, ed è in crescita.

Eppure solo il 30% delle istituzioni culturali utilizza l’IA, quasi sempre in forma sperimentale e non strutturata. Le applicazioni più comuni si concentrano sul lavoro interno:

  • creazione di contenuti (69%)
  • supporto operativo alla produttività (56%).

L’uso più ambizioso – l’intelligenza artificiale generativa per progettare nuove esperienze – è ancora poco sviluppato: solo l’1% dei musei e teatri ha avviato progetti strutturati in questo ambito. Nel frattempo, la metà degli enti teatrali e un terzo dei musei dichiarano di voler esplorare l’IA generativa, e oltre il 57% dei musei prevede investimenti in IA nei prossimi tre anni. Il salto di scala non è ancora avvenuto, ma le intenzioni ci sono. Allora perché la trasformazione digitale avanza così lentamente?

La vera questione è politica e culturale

Dietro la lentezza dell’adozione tecnologica non c’è solo la scarsità di fondi o competenze. C’è soprattutto l’assenza di una visione culturale del digitale. Come ha sottolineato Eleonora Lorenzini, direttrice dell’Osservatorio, il 68% delle istituzioni culturali non ha una strategia dati. E senza dati ben organizzati e interoperabili, l’intelligenza artificiale non può funzionare:

“Senza una strategia dei dati, l’IA resta una promessa mancata”.

È un tema che ritorna anche nel fundraising: i dati sono spesso dispersi, non integrati, e non raccolti con un’ottica relazionale. Eppure, con i dati giusti, l’IA può:

  • segmentare i pubblici,

  • personalizzare le proposte,

  • automatizzare le relazioni,

  • ottimizzare i tempi e i costi della raccolta fondi.

Musei e fundraising: due facce della stessa trasformazione

L’innovazione digitale non è più un’opzione, ma una leva trasversale che tocca ogni aspetto del lavoro culturale: dalla visita in sala alla relazione con il donatore.
La tecnologia, da sola, non basta. Serve un nuovo patto tra cultura e digitale, che metta al centro le persone – visitatori, spettatori, sostenitori – e costruisca attorno a loro esperienze significative, accessibili, sostenibili.

Per riuscirci, non bastano progetti una tantum. Servono:

  • dati condivisi e ben strutturati,

  • figure professionali ibride (digital humanist, data strategist culturali, digital fundraiser),

  • modelli organizzativi nuovi, capaci di integrare progettazione culturale e innovazione ed essere attrattivi anche per nuove tipologie di sostenitori.

Fonti:

  • https://www.osservatori.net/infografica/innovazione-digitale-per-la-cultura/alea-iacta-est-cultura-digitale-dati-chiave-2024-25/
  • https://www.ilsole24ore.com/art/intelligenza-artificiale-musei-potenzialita-ancora-inespresse-AH5N276
  • https://www.ilsole24ore.com/art/musei-italiani-boom-visitatori-e-ritardi-digitali-sfida-dell-ia-AHJZ8FGB?refresh_ce